Quante volte ti hanno chiesto “cosa farai da grande?” a me è capitato quando ero un bimbo negli anni delle scuole elementari e poi avanti nel tempo, sotto forme diverse, persino a lavoro, fino a quando vi era un percorso di carriera. La domanda, in qualsiasi momento mi sia stata posta, a me ha sempre creato ansia, perchè non sono mai riuscito a dare una risposta. Oppure ne ho date troppe.

Dopo essermi interrogato a lungo, finalmente all’università ho cominciato a capire perché. Ogni volta che ho incontrato un argomento o una materia interessante ci sono sprofondato dentro con molto entusiasmo, anche rapidamente. Sono sempre arrivato ad un punto in cui potevo definirmi competente nel campo ma proprio allora, iniziavo ad annoiarmi. Finivo così per abbandonare pur avendo tentato spesso anche di resistere all’abbandono nella convinzione che in ogni passione vi fossero alti e bassi e bisognasse render onore al tempo e denaro spesi. Ma poi arrivava il momento della fine. “Forse non è questa la mia strada”. Solo uno stop temporaneo. Ricominciava tutto daccapo con un nuovo interesse, una speranza “ho trovato il mio interesse”, con lo stesso schema lineare scoperta, entusiasmo, competenza ed abbandono.

Due pensieri aleggiavano su questo percorso che assomigliava ad una specie di maledizione.

1. La mia convinzione che uno di questi interessi avrebbe dovuto essere la mia carriera o la scoperta del mio talento, quello che un Dio benevolo mette dentro ciascuno di noi con il compito di trovarlo e di renderlo utile all’umanità.

2. Il giudizio morale sul fatto che forse sfuggire ad un interesse per il quale mi ero tanto dato da fare, fosse solo una scusa e che avrei dovuto vincere la noi e così diventare un adulto. Avevo paura di essere un sabotatore della mia vita.

Mi ci sono afflitto molto ma poi all’alba del 50esimo hanno mi sono detto “La verità è che a nessuno frega molto sapere cosa rispondi alla domanda -cosa vuoi fare da grande?-“. Forse la nostra cultura ci chiede di porla solo per dirci che c’è un momento per sognare e il momento di fare sacrifici. Se volevi diventare un pirata da bambino da grande dovrai rassegnarti a diventare un impiegato. Perchè la domanda ti obbliga a scegliere e non ti incoraggia a indagare tutte le persone che potresti essere.

Io sono fatto diversamente. Sono fuori da questa cultura.

Mi sono sentito sbagliato e senza scopo. Ora lo so, sono un Multipotenziale. Sono uno che ha un sacco di interessi, sono sempre impegnato in curiose ricerche in varie discipline, sono uno scanner di notizie e immagini. Ho tre poteri.

1. Sintesi. Riesco a a creare qualcosa di nuovo incrociando informazioni provenienti da argomenti o concetti diversi. Vivo sulle intersezioni.

2. Apprendimento rapido. Mi metto a testa bassa a studiare e capisco in fretta. Ho meno paura di affrontare un argomento perché uso le competenze acquisite in un settore, dentro altri settori.

3. Adattabilità. Riesco a calarmi in una situazione. Mi sento come l’acqua, cambio il mio stato secondo la situazione in cui mi trovo, cercando di essere sempre di supporto a coloro che di “acqua” hanno bisogno.

Un Multipotenziale è fatto in questo modo, eppure spesso si scoraggia o viene scoraggiato. Ma la cultura può cambiare. Se anche tu lo sei, segui la tua curiosità come Alice ha fatto inseguendo il coniglio fin dentro la tana. La tua vita troverà il suo riconoscimento.

Nel mondo c’è posto per specialisti ma anche di persone come noi che sognano connessioni apparentemente impossibili, perchè hanno visitato tante strade da molti ignorate.

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