“finalmente sono riuscito a lavorare”

Sono le 18 meno spiccioli quando il Collega esclama a voce udibile per diverse persone, non tutte ma quelle giuste per lui. Tipicamente un superiore o qualche altro figuro al quale far notare la cosa. Ma quale?

Rispondo pacatamente senza alzare lo sguardo dalle carte da gioco. Ahimè difficilmente riesco a tacere quando qualcuno parla a nessuno in particolare.

“ora ti metti a lavorare?” dico, senza un filo di ironia ma con quel tanto di dovuta cortesia per una frase priva, per me, di senso.

“no, sono riuscito a lavorare come si deve solo fra le 7. 45 e le 8”

Ecco, ecco il motivo della frase. Far capire che si lavora indefenssi dalle settequarantacinque alle diciotto. Mi viene subito una noia infinita ed inizio a tossicchiare, La tosse nervosa e stizzosa.

Sempre qualcosa di simile a questa scenetta in ogni squallido ufficio, in ogni lavoro ormai vuoto di significato. Dentro qualsiasi palazzone dove noi, umani, ormai siamo schiavi delle macchine o delle procedure.

Mi immagino qualcosa di diverso. Fuori le mura. Senza macchine che ti dicano cosa fare, senza procedure che ti dicano cosa non fare, senza gente che voglia apparire. Immagino una trasparenza assoluta, di un cielo azzurro, pulito da fumi e umidità. Immagino che il denaro non esista più.

Mi sveglio al suono del claxon. Mi sono fermato troppo al semaforo e un altro pendolare irato mi urla di muovermi.

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