Si leggono, scrivono, ascoltano fiumi di parole. Il loro significato sfugge a chi lo trasferisce e giunge a chi lo riceve incompleto e ricco di intenzioni altre. La comunicazione è l’esigenza di trasferire le nostre esperienze ad altri, per poter dire “quanto sto per dirti è una scoperta, il primo passo di una nuova storia”. Comunichiamo per dare l’imprimatur. Siccome tutti vogliono darlo, finiamo per non ascoltarci.
Quando ho iniziato a scrivere poesie, l’ho fatto perché mi sentivo soffocare da questo maelstrom di fonemi e lemmi. Mi perdevo in essi e non sapevo più come usarli per comunicare. Ho cercato allora un uso più sintetico. Una poesia breve.
Ho smesso di perdermi. Ho affidato al lettore il mio significato senza pretendere che lo dovesse trovare. Ho permesso che ne trovasse uno proprio o che rigettasse il mio messaggio come insensato. In ogni caso ho trovato nella forma poetica quello che Ezra Pound diceva di una comunicazione pregnante e importante “con pochi significanti una ricchezza di significati”
Partendo dal gorgo disordinato e potentissimo, mi sono ritrovato una goccia in mano. Una piccola stilla dentro la quale collocare i significati viaggiando verso l’infinito. La poesia come goccia di nuvole, d’oceani, di vapori stellari e cosmici provenienti da remote distanze ed ere. La mia poesia mi ha fatto sentire capace di comunicare. Ma resta difficile ora rendere onore al silenzio anche di senso.