Salve. Sono Matteo Ponti per gli amici Matte.
Oggi condivido un paesaggio poetico sonoro, in rima incatenata, che è nato leggendo il Canto Primo della Divina Commedia. Nientemeno.
La Divina Commedia dona una rappresentazione di quell’esperienza di “risveglio” che nasce iniziando un transito nei bassifondi della psiche. Ogni percorso parte dal primo passo. Di questo, io canto, con una poesia dal canale Telegram t.me//AiutamiPoesia
Mi sono anche questa volta avvalso della collaborazione della mia amica poetessa Serena Vestene, che in questo caso suona un paesaggio con la cetra. Qui il sonoro e <di seguito il testo>
Scrissi più di una poesia
nessuna mai per esser letta
per far di quest’arte vita mia.
Volendo strada men tortuosa e più retta,
scambiavo spesso il lume per il Sole
e correvo ad inseguirlo in tutta fretta.
Finii nel timor senza parole,
di nuovo al punto di partenza,
segnando il passo a lisce suole.
Mi convinse la buddista anicca,
scelsi poi di far meditazione,
volevo evader senza la pasticca,
pur amando vita piana e protezione.
Non capendo negli effetti come mai
mi impantanai nell’emozione senz’azione,
persi strada, e nel delirio m’ammalai.
Nel delirio vidi parmi una chimera,
nembi e verdi valli ov’io vagai.
Guarito, poi mi chiesi fosse vera,
e spesso a quel delirio ripensando,
ne feci per eterno lume, cera.
Le scelte del passato e ‘l loro sbando
nell’affanno di una lunga corsa
ora ponderavo ponderando.
Come l’aratro per terra arsa
fatica a preparare il seminato
la coscienza mia parea morsa,
per timor d’aver qualcosa abbandonato.
Pur nel dubbio, seguendo un po’ l’istinto,
l’invito di chimera ho accettato.
Lassù un cielo di caligine tinto
intriso d’una luce chiara e spavalda
faceva sembrar il mio smarrimento finto.
Provai a ripartir nell’aria calda
immaginando di seguir tutta la strada
risalendo l’erta ripa e l’ardua falda,
fin sui prati d’una verde contrada.
Certo non ero sicuro della meta,
vedendo innanzi foresta poco rada.
Soppesavo al riparo d’ombra quieta
sul da farsi e sui miei percorsi
quando per un rumore secco in pineta,
dall’elucubrar mio, lesto riemersi.
Non capivo qual fosse origine del suono,
bevvi per mi calmar d’acqua due sorsi.
Là, fuori d’ombra stava il dio Crono
ed io nell’ombra maestosa vidi
sagoma di lince assisa al trono.
“che fai tu sinuosa e silenziosa e ridi?”
chiesi con voce mia voce e bassa di tono.
Degli occhi notai fiamme e stridi,
dal suo riso infero nessun perdono.
Mi volsi indietro ma ciò che vidi
parava il passo con voce di tuono.
Pene immani e dolor rividi
oltre a ritener vano un condono,
pei dolori e misfatti cui non m’avvidi.
La bella lince non emise suono
scomparve lesta lungo ‘l cammino
quasi mi desse il di lei perdono.
Se fosse sogno o messager divino
l’ignoro certo, ma fu di sprone
perchè il corraggio mi venne vicino
e da quel momento ogni neurone
avviandomi verso l’ignoto passo,
vinse in me la stasi del fifone.
Senza più volger guardo in basso,
andai eretto e in fiducia piena
cantando lieto verso il luminoso passo.