Ti scrivo di un docufilm che trovi su Netflix. L’ho guardato e ci ho riflettuto su. Parla dell’era dei social media nella quale una parte del mondo è immersa, letteralmente.

Se hai modo di vederlo, fallo. Posso dirti le illuminazioni che go ricevuto dal film.

I social media manipolano e seducono, forniscono scorciatoie per arrivare prima alla socialità ed alla conoscenza. Scorciatoie che non permettono però di ottenere qualcosa di vero, profondamente radicato e di vero aiuto. Siamo pilotati da algoritmi nei nostri comportamenti quotidiani. Gli algoritmi -in pratica opinioni ingegnerizzate- a loro volta interagiscono con i comportamenti indotti, innescando un dialogo fra algoritmi, dal quale siamo esclusi.

L’uomo ha bisogno di comunicare e socializzare, ma deve farlo lentamente. Deve avvicinarsi, studiarlo, trovare i punti di contatto, trovare gli spazi per ritirarsi in se.
Se la velocità cresce, non c’è più tempo di studiare, non c’è più spazio per ritirarsi. Lo spazio diventa troppo sociale e troppo affollato anche di comunicazioni -meglio forse un distanziamento relazionale peraltro già in atto con i social media-. L’umanità è sotto pressione e diventa aggressiva e non ce la fa a dedicarsi ad ogni comunicazione con l’impegno cui sarebbe propensa. Allora forse è vero che l’uomo è fatto per vivere in piccoli gruppi e per interazioni non frettolose e costruzione paziente della conoscenza.

Eppure internet, che ha reso possibile i social media, e forse ha provato ad aprire l’uomo verso un senso di comunità maggiore, sta causando l’effetto opposto. Una polarizzazione, un allontanamento delle persone dai loro simili, ed una mercificazione totale anche della dimensione intima dell’empatia e della comunicazione fra individui. L’incantesimo del mondo globale è renderlo diviso, sordo e cieco.

Sofocle ci aveva avvertito

“nulla che sia grande

entra nella vita dei mortali

senza una maledizione”

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