Traduzione di Matteo F. Ponti, della Lirica “Gesänge” di Gottfried Benn
Saremmo noi stessi i nostri primitivi antenati.
Un grumo di muco in una calda brughiera.
Vita e morte, concime e parto
scaturiscono dal nostro silenzioso salvatore.
Una foglia d’alga o una duna di sabbia,
modellate chiome dal vento e poi indurite radici.
Una testa di libellula e un’ala di gabbiano
sarebbero già lontane e già troppo afflitte.
Sfacciati sono gli amanti, beffardi,
tutti ingannati, il desiderio, e chi spera.
Siamo divinità cosi spiacevolmente virali
pur rivolgendo spesso il nostro pensiero a Dio.
Il morbido giaciglio. I più oscuri sogni della foresta.
Le stelle, grossi boccioli di fiore come palle di neve e pesanti.
Le pantere che si lanciano senza far alcun rumore, fra gli alberi.
Tutto è approdo. Questa l’invocazione del mare.
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Gesänge
O daß wir unsere Ururahnen wären.
Ein Klümpchen Schleim in einem warmen Moor.
Leben und Tod, Befruchten und Gebären
glitte aus unseren stummen Säften vor.
Ein Algenblatt oder ein Dünenhügel,
vom Wind Geformtes und nach unten schwer.
Schon ein Libellenkopf, ein Möwenflügel
wäre zu weit und litte schon zu sehr.
Verächtlich sind die Liebenden, die Spötter,
alles Verzweifeln, Sehnsucht, und wer hofft.
Wir sind so schmerzliche durchseuchte Götter
und dennoch denken wir des Gottes oft.
Die weiche Bucht. Die dunklen Wälderträume.
Die Sterne, schneeballblütengroß und schwer.
Die Panther springen lautlos durch die Bäume.
Alles ist Ufer. Ewig ruft das Meer –